30.9.09

La stagista_5

«E per fortuna non è bella» ha continuato Nanda «anzi, diciamo pure che è un cesso, poverina, perché se fosse pure una top model quelle l’avrebbero già avvelenata». «Non saranno state loro a piazzarla nell’ufficio abbandonato?» ho suggerito. «No, secondo me è stata una mossa di De Pasquale... Avrà pensato che così la metteva al sicuro, almeno per un po’, fino a quando alle altre non sarà passata». Poi la sua faccia si piega in un sorriso malvagio: «In ogni modo, se pensi che Gladia mi piaccia ti sbagli di grosso. Sono un po’ più tenera con lei solo perché è nuova dell’ambiente, e si vede che è appena uscita dalla scuola, ma se lo vuoi sapere quella ragazza non mi ispira per niente... Hai sentito come parla?» Le dico che non ci ho mai scambiato una parola. «Be’, dovresti farci due chiacchiere, così mi daresti ragione. La sua voce è una cosa insopportabile. Fa accapponare la pelle. E soprattutto parla un italiano burocratico, pieno di parole che non si usano più dall’ottocento...». Poi, disintegrando i resti della sigaretta nel posacenere, Nanda dà sfogo al suo sospetto più grosso: «Secondo me quella ha già messo gli occhi su De Pasquale». «Intendi che ha delle mire sessuali?» «Sì! In fondo De Pasquale è un bell’uomo, anche se è un coglione... In ogni caso, qua dentro c’è gente che aspetta da anni di scoparselo! Che cosa vuole lei? Ci sono delle precedenze da rispettare, e che cazzo!» «Ma sei sicura che lui le piaccia?» ho chiesto, meravigliato dalla piega strana che ha preso il racconto. «Come no, basta vedere con che occhi lo guarda, come gli si mette vicino, sporgendo quelle sue tettine da niente, una robina proprio misera, va bene, però lei gliele struscia addosso... quella specie di Lolita.» E poi conclude, lapidaria: «Bisogna stare molto attenti a una così... Dammi retta, questa stagista è pericolosa!».

25.9.09

La stagista_4

Nanda è l’unica che ha capito subito di quale nuova ragazza stavo parlando. Non mi ha nemmeno lasciato finire la domanda: «Ma intendi Gladia?» «Gladia?» «Sì, la nuova stagista». «Ma che nome è Gladia?» non ho potuto fare a meno di dire. «Ah, non chiederlo a me. Non ho mai sentito un nome del genere. Quando me l’ha detto mi sono messa a ridere, pensavo scherzasse.» «E in quale redazione fa lo stage?. «Da noi, anche se per ora l’hanno piazzata nel vecchio ufficio di De Pasquale, perché a quanto pare non ci sono altri posti disponibili... Quando la vedo lì, tutta sola, mi fa quasi pena». Stupisce sentire una frase così gentile uscire dalla bocca di Nanda, che non è certo famosa per la sua tenerezza. «Secondo me è finita nella nostra redazione per sbaglio. Cosa vuoi che impari una così alla Studia & Labora, me lo dici?». E qui si fa una risata. «Se è vero quello che mi ha raccontato De Pasquale, la ragazza ha un curriculum che non scherza... È laureata in filologia antica, bizantina, o una cosa del genere, non me lo ricordo, comunque una roba tosta. Quindi che cosa c’entra con i libri per baristi e camerieri che facciamo noi? Al massimo potrà aiutare quelle sceme delle mie colleghe a fare la nuova edizione del Manuale del pasticcere o di Tecniche di giardinaggio. Capirai. L’unica cosa sicura è che non la affiancheranno a me, perché qui non mi può vedere nessuno». Ha aspirato voracemente la sigaretta che stava fumando, ha ingollato in un sorso il caffè residuo e poi: «Le dovevi vedere quelle fighe di legno» si riferisce sempre alle sue colleghe «dovevi vedere con che occhi la guardavano il giorno che De Pasquale ce l’ha presentata ufficialmente...». «Ma perché?» «Perché sono gelose, sono piene di invidia, fanno fatica anche a rivolgerle la parola, figurati...» «Ma invidiose di cosa?» «Del fatto che lei è giovane, no? Hanno paura che qualcuno le possa sostituire. E poi non vogliono farsi rubare i loro segreti del mestiere... Ma che segreti ci saranno a fare dei libri brutti come i nostri?... Comunque, stagista a parte, è dal paleozoico che quelle quattro tardone fanno cricca tra loro. Non parlano mai con nessuno. Figurati come possono vedere questa Gladia, che è arrivata l’altro ieri...» [continua]

La stagista_3

La ragazza non era propriamente brutta, ma quella sua faccina gommosa, da bambina, sembrava modellata da qualcuno che non ci sapeva fare. La distanza tra gli occhi era sbagliata, il naso troppo corto, e grosso, la bocca senza labbra, un mento appena abbozzato, che sembrava scivolato lì sotto per sbaglio. Una faccia un po’ così, insomma, che si fa fatica a descrivere perché è difficile da ricordare.
Quando ho fatto qualche domanda in giro per sapere qualcosa in più su di lei, mi è toccato spiegare a tutti di chi stavo parlando e dove l’avevo vista, perché nessuno si era accorto della sua comparsa. Orlando, il redattore più anziano dell’ufficio, all’inizio non ci credeva, ma dopo essere andato a darle un’occhiata è venuto da me tutto eccitato, a dirmi che sarebbe stato un peccato ignorare una fanciulla del genere. Dal suo commento ho pensato che avesse guardato la ragazza sbagliata.
Le redattrici invece non sembravano per niente sorprese dalla nuova arrivata, più che altro si sono infastidite perché nessuna di loro l’aveva ancora vista. Volevano solo sapere se la ragazza era giovane, e quanto, se era bella, e in che misura, e soprattutto se vestiva meglio di loro. Dopo essere andate, a turno o in coppia, a spiarla da lontano ed essersi tranquillizzate, non sono più tornate sull’argomento.

23.9.09

Vita da redattore_2

(Apro una parentesi e preciso che mi definisco redattore fantasma per dare una sfumatura simpatica alla mia condizione di collaboratore a progetto. Nella casa editrice in cui lavoro – mi correggo: nella casa editrice con cui, al momento, collaboro –, cioè la Giacobino, i redattori assunti sono davvero pochi e risalgono a un’era remota, che qualcuno ogni tanto rievoca in racconti dal sapore fantastico, un’epoca che sicuramente era già finita da un pezzo quando, quasi sei anni fa, sono arrivato io. I redattori assunti godono di tutti i privilegi previsti dalla loro condizione, come buoni per il pranzo, tredicesime, premi di produzione, corsi di aggiornamento, doni, sconti del cinquanta per cento alla libreria aziendale, inviti alle feste di Natale eccetera. Noi redattori fantasma, invece, facciamo il loro stesso lavoro ma non abbiamo diritto a niente del genere. Ci siamo, ci muoviamo tra loro, ma è come se nessuno registrasse la nostra presenza. Come dei fantasmi, appunto. Chiusa parentesi.)

18.9.09

Vita da redattore_1

Quando dico che faccio il redattore in una casa editrice* tutti mi guardano con una faccia strana. Il più delle volte esclamano «ah, interessante!», e sgranano gli occhi, meravigliati. Ma si vede benissimo che non hanno capito niente. Qualcuno, dopo un minuto di silenzio, chiede: «l’arredatore?», perché pensa di aver sentito male. Altri invece azzardano: «il giornalista?». Allora io preciso: «no, il redattore», come se ripetere servisse a qualcosa. E poi, giusto perché mi rendo conto che la parola redattore può generare qualche confusione, inizio a spiegare per la centesima volta in cosa consiste il mio lavoro, dico che in pratica io faccio i libri, cioè leggo i testi, li correggo, li modifico, li seguo fino alla pubblicazione, e porto anche qualche esempio per chiarire meglio la faccenda. Ma posso stare sicuro che tanto, alla fine del mio discorso, loro saranno confusi esattamente come prima. Di solito, infatti, dopo avermi lasciato parlare per dieci minuti buoni mi chiedono, un po’ stizziti: «ma quindi che cosa fai esattamente? Cosa vuol dire che fai i libri? Non li scrivono gli scrittori, i libri? A cosa servi tu?…». (E vi assicuro che non è una bella domanda da sentirsi fare.) Mentre i casi disperati, quelli che non hanno capito niente fin dall’inizio, non si trattengono più: «Vedi che è come dicevo io? Fai il giornalista!». E a quel punto io sono così sfinito che glielo lascio credere.

*Il mio Contratto di lavoro a progetto specifica, al punto 7, che «il collaboratore è tenuto a esternare nelle relazioni, anche con soggetti terzi, la sua condizione di collaboratore a progetto [cioè temporaneo] e quindi la carenza di ogni potere di rappresentanza della società committente». Approfitto di questa nota per esternare una volta per tutte la mia condizione e non ci penso più.

11.9.09

La stagista_2

A vederla così, seduta tutta sola davanti a quel grosso mazzo di fogli A3, con la penna rossa in mano, senza telefono né computer, senza lampada e soprattutto senza nessuno intorno, a parte il ficus fossile, poteva anche suscitare tenerezza. Forse, fino a qualche anno fa, avrebbe fatto pena anche a me, ma certo non oggi, alle soglie del mio sesto contratto a progetto, spero annuale. Perché in questi anni ho sviluppato una solida indifferenza a tutto e ho imparato a vivere senza troppe aspettative, senza fare progetti per il futuro, seguendo – come ci viene caldamente suggerito dai vertici della Giacobino – uno spensierato stile di vita alla giornata, dal quale, almeno nel mio caso, è rapidamente sparita ogni voglia di farsi nuove amicizie. In uno come me, infatti, selvatico per natura, questi effetti collaterali del lavoro precario hanno trovato un terreno fertile su cui proliferare. Così, quando ho visto quella ragazza – quanti anni poteva avere, venticinque? – piazzata in un angolo abbandonato e ignorata da tutti, la mia prima reazione non è stata di simpatia ma di sospetto. Anzi, di aperta ostilità. Perché ormai vedo ogni nuovo arrivato, anche temporaneo, come un possibile rivale, uno che potrebbe fregarmi il lavoro da un giorno all’altro (a qualcuno è già successo), un ospite sgradito da trattare con gentile distacco, da tenere adeguatamente alla larga e aiutare il minimo indispensabile, nei limiti di un tiepido galateo da ufficio. Niente di più.
Comunque era passata più di una settimana e lei continuava a stare lì. Non era sempre immobile, a volte mi capitava di trovarla in piedi davanti alla fotocopiatrice, rigida, in silenzio. Oppure la incontravo nei corridoi, o la incrociavo sulle scale. Ma non l’avevo mai vista parlare con nessuno e di solito, quando vedeva che andavo verso di lei, abbassava velocemente lo sguardo e tirava dritto, lasciando galleggiare nell’aria il mio saluto inutile.

4.9.09

La stagista_1

La prima volta che l’ho vista era seduta a una scrivania abbandonata, tra scatoloni di libri per il macero e un paio di armadi vuoti. Quella era la scrivania dell’editor di Studia & Labora – il marchio del Gruppo Giacobino Editore specializzato in libri per scuole professionali, istituti tecnici e simili – editor che è stato trasferito da tempo in un ufficio completamente nuovo.
Siccome qui, nella sede della Giacobino – un intarsio di cristalli e cemento disegnato con la mano sinistra dal famoso Morgan Braganza negli anni settanta, mentre lavorava alla monumentale, e infatti mai realizzata, università di Oaxaca (Messico) – siccome qui, dicevo, gli spazi non mancano di certo, si è pensato bene di ridistribuirli almeno una volta all’anno. Così le varie redazioni del gruppo cambiano continuamente disposizione, migrano da un piano all’altro, da un lato del palazzo a quello opposto, si allargano, si restringono o spariscono, a seconda delle esigenze del momento, anche solo per lasciare il posto al nuovo ufficio di qualche dirigente dalle funzioni misteriose, che non parla con nessuno ma tiene tutti sottocchio. E i dipendenti si sono abituati a vivere in uno stato di trasloco perenne, con le loro quattro cose sempre pronte, in attesa delle improvvise decisioni che piovono dall’alto.
Ma torniamo a lei. Quando l’ho vista, un lunedì di gennaio, ho pensato che fosse una correttrice di bozze venuta a fare qualche lavoro urgente dell’ultimo minuto, come capita spesso quando i tempi per finire i libri stringono. Il giorno dopo era ancora lì, allo stesso posto, curva sulle carte. Evidentemente era una correzione che richiedeva tempo. Il mercoledì non sono andato in redazione, ma il giorno seguente la scena che si presentava era la stessa, cambiava solo il golfino della ragazza, che dal nero slavato era passato a un giallo sporco, quasi marrone. E lei, se possibile, sembrava ancora più impegnata nel suo lavoro, più curva, accartocciata su se stessa come un pezzo di scotch.
A farle compagnia c’era solo una pianta di ficus morta da un decennio.
Solo allora, per la prima volta, ho iniziato a domandarmi chi diavolo fosse.
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