20.7.11

Vita da redattore_17

Poi è squillato il telefono di Gladia. Era l’editor, la stava convocando alla riunione. Ma come, lei è stata invitata e io no? La vedo prendere l’agendina e certi fogli che aveva preparato sulla scrivania. Si alza, mi sorride velocemente e se ne va, con l’aria di una che ha molto da fare.
Non so di cosa abbiano discusso là dentro, so solo che la riunione è andata avanti parecchio. Poi, quando ormai avevo smesso di pensarci, è suonato anche il mio telefono. Ancora l’editor, chiedeva di andare da lui. Ecco, lo sapevo che avrebbero invitato anche me, dovevo solo avere pazienza. Forse gli Autori volevano discutere di come organizzare il lavoro futuro, oppure avevano visto le bozze e volevano farmi i complimenti per come stava venendo il loro libro… Camminando nel corridoio ho provato anche qualche risposta alle loro domande più probabili, perché volevo fare una bella figura. Mi sono addirittura specchiato davanti all’ascensore per controllare che fossi in ordine. (A pensarci oggi, mi vergogno di essere stato così ingenuo.)
Ma le mie fantasie sono durate poco. Una volta entrato nella sala 2 mi sono trovato davanti il grande tavolo delle riunioni, vuoto. O almeno così sembrava, perché i tre Autori erano raggruppati dalla parte opposta della stanza, stretti in modo imbarazzante intorno a Gladia. Solo l’editor ha sentito il mio saluto. Era l’unico seduto al lato lungo del tavolo e mi stava aspettando. Gli Autori invece discutevano con Gladia di teorie estetiche, facevano un mucchio di nomi ma io mi ricordo solo quello di Panofsky, anche perché era l’unico autore che conoscevo.
Se pensavo che l’editor volesse farmi partecipare alla riunione mi sbagliavo. Infatti mi ha messo in mano un mazzetto di fogli, si è avvicinato al mio orecchio, per non disturbare la discussione, e mi ha bisbigliato di farne quattro copie. In fretta, grazie.
Mentre andavo alla fotocopiatrice non ho potuto fare a meno di sentirmi frustrato. Mi sono lamentato con me stesso per come venivo sottovalutato rispetto a Gladia, che godeva già della considerazione generale mentre io, che lavoravo in quel posto da anni, che faticavo sui testi spesso insensati di quei tre per trasformarli in un libro leggibile, io venivo praticamente ignorato da tutti. Ma per fortuna non avevo molto tempo per l’autocommiserazione. Ho buttato i fogli nella macchina – si trattava dell’indice dei box affidati a Gladia e la copia dei primi che aveva scritto –, ho fascicolato alla perfezione le quattro copie richieste e sono tornato nella sala riunioni. L’editor e i vecchioni sembravano rapiti dalla stagista che, se ho capito bene, stava illustrando la sua personale concezione dell’arte barocca. L’editor, senza scollare gli occhi da lei, mi ha sfilato le fotocopie dalle mani e le ha distribuite lentamente agli altri, che hanno tastato a caso il tavolo, come ciechi, per riuscire a prenderli senza lasciarsi sfuggire nemmeno una parola della ragazza.
Evidentemente ero l’unico a non subire l’incantesimo della sua voce.
Lei ha ruotato gli occhi verso la porta per incrociare i miei. Occhi dorati e radiosi, abbastanza lucidi di compiacimento da farmi intendere che stava letteralmente godendo delle attenzioni di quel gruppetto di uomini. Per un istante ho avuto la sgradevole visione di quello che il tavolo fortunatamente celava: quattro erezioni senili che puntavano invano verso di lei.
Forse a Gladia sarebbe piaciuto soggiogare anche me, finalmente, ma i nostri sguardi, dopo un attimo insopportabile di fastidio reciproco, si sono sgrovigliati. L’attimo dopo io ero già sparito.

9.7.11

I miserabili_4

Alla fine Amalia mi telefona, dopo un paio di giorni.
Esaurite le solite smancerie, mi dice di aver chiamato l’amministrazione per avere chiarimenti e di aver scoperto che in effetti è andata proprio come sospettava lei, cioè che il mio contratto, perfettamente in regola e firmato da tutti, si è arenato, non si sa bene quando, nei loro uffici, per colpa di uno dei soliti disguidi…
«E il mio pagamento?» chiedo.
«Purtroppo, siccome non c’era traccia del tuo contratto, il pagamento di maggio non è andato a buon fine».
Me ne ero accorto.
Ascolto in silenzio Amalia che mi chiede personalmente scusa per questo spiacevole disguido e mi raccomanda di presentare due note di pagamento il mese prossimo, per avere anche lo stipendio arretrato.
«E il mio contratto quando arriverà?» chiedo, retoricamente.
«Presto, prestissimo!»
«Sarebbe ora, visto che lo aspetto da due mesi» vorrei dirle, ma rimango zitto.
«Appena lo ricevo dall’amministrazione te lo mando, non ti preoccupare!» promette Amalia in uno dei suoi slanci di tranquillizzante solerzia. E poi non la smette più di scusarsi per questo contrattempo, e per il disagio che ho subito, e per non essere stata in grado di darmi una risposta prima eccetera.
Se non la conoscessi da tempo, se non avessi sentito così tante volte queste sue frasi affettate e non sapessi che sono prive di sostanza, che non valgono niente, forse, dico forse, potrei anche commuovermi.
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