26.11.10

Vita da redattore_11

L’editor, come è ovvio, ha preso Gladia in parola. Come non accogliere con gioia l’offerta della sua giovane, talentuosa stagista che si immolava per salvare dal naufragio il libro più importante dell’anno? Come rifiutare una simile manifestazione di amore per l’Azienda*? Questa soluzione gli sarebbe costata al massimo una pacca sulle spalle o un bel discorso di ringraziamento a lavoro concluso, e in più, se la ragazza dimostrava di essere valida, poteva anche impiegarla in qualche altro libro futuro. L’editor era raggiante. Ma Gladia, che non aveva ancora finito di parlare, si è alzata in piedi – facendo scattare verso di lei gli occhi di tutta la redazione, che a questo genere di cose, a gesti così romantici intendo, non è certo abituata – e ha continuato il suo discorso. Sempre con quel tono falso modesto, con quella vocina appuntita, terribile. Insomma ha dichiarato che sarebbe stata davvero onorata di contribuire, con la sua passione e la sua grande conoscenza della storia dell’arte, alla stesura di tutti i testi mancanti... Ci siamo guardati tutti. Nessuno parlava. Si poteva avvertire il brivido ghiacciato che ci trapassava veloce uno dopo l’altro. Frasi del genere, lì dentro, non le aveva mai pronunciate nessuno, tanto meno una stagista dell’ultima ora. Forse anche agli altri veniva da ridere come a me, ma stavamo fermi. Va bene l’entusiasmo dei giovani, ma Gladia si considerava addirittura una grande esperta d’arte. Aveva detto proprio così, più o meno. Quel vago senso di tenerezza che forse avevo provato all’inizio del suo discorso (dovuto più che altro al ricordo di come ero io quando ho iniziato a lavorare alla Giacobino), adesso si era dileguato. L’editor però la stava a sentire con ammirazione e non sembrava per niente perplesso dalle sue parole. Era preso in un fitto dialogo con lei – che risuonava limpido nel silenzio di tomba della redazione – e le stava già proponendo di scegliere uno qualunque dei box mancanti per provare a scrivere un testo di prova... «Ma sono sicuro che lei sarà senz’altro all’altezza del compito» aveva detto quasi per scusarsi. Noi altri potevamo anche andarcene, ma non lo facevamo, perché era divertente osservare fino a che punto si sarebbero spinti quei due. Ecco, diceva lui, che cosa ne diceva di iniziare con un box sulla Vocazione di san Matteo di Caravaggio? Le piaceva? Bene, allora non doveva fare altro che guardare come erano impostati gli altri, giusto per avere un modello di riferimento. Le avrebbe procurato subito un testo da tenere come esempio - e qui l’editor aveva guardato me, facendomi segno di prendere nota, perché il testo dovevo passarglielo io. E poi le aveva chiesto se le bastavano tre o quattro giorni per scrivere quel primo box. Sì? Perfetto. Così, dopo averlo valutato insieme, lei avrebbe potuto proseguire tranquillamente con il resto lavoro. Gli occhi dell’editor sfavillavano come i cristalli di un lampadario appena spolverato. Non aveva dubbi, insisteva, sempre più eccitato, la sua prova sarebbe andata benissimo. Lei era davvero perfetta per quel lavoro!

* Azienda con la A maiuscola, come piace dire all’editor.

15.11.10

Foto di famiglia_9

Il pomeriggio del mio primo giorno alla Libreria Tau i Gibigiana mi avevano mandato a pulire gli scaffali della videoteca al piano terra. La responsabile del reparto era una donna triste e mansueta che continuava a offrirmi caramelle. Spostavo le videocassette e i dvd per pulire i ripiani di vetro e ogni tanto, per distrarmi, leggevo le trame dei film che avrei voluto vedere. Tutta la produzione di Bergman, che all’epoca mi attirava molto, e poi Buñuel, Renoir e il Decalogo di Kieslowski, che avrei rivisto volentieri. La videoteca era fornita del meglio in circolazione e la roba propriamente religiosa, per fortuna, era quasi nascosta in un angolo. Se mi avessero lasciato lì ci sarei rimasto volentieri. Forse, fantasticavo, avrei potuto comprare qualche videocassetta con lo sconto o avere gratis dei fondi di magazzino, se ne avevano… I Gibigiana però erano stati chiari, serviva solo una bella spolverata a tutti gli scaffali, poi dovevo ritornare al piano di sopra. Il mio posto era quello.
La signora alla cassa aveva una radiolina accesa su un canale della rai e all’improvviso, poco dopo le tre, le trasmissioni erano state interrotte da un’edizione straordinaria del radiogiornale. Un’inviata da New York aveva notizie importanti da dare. La sua voce era sconvolta, diceva che le scene a cui stava assistendo sembravano quelle di un film. La signora triste aveva alzato il volume. Sentivo la giornalista raccontare che alle nove meno un quarto locali un aereo era andato a schiantarsi contro una delle torri del world trade center. Era letteralmente entrato nel grattacielo. Poi si era scatenato un incendio. Non si avevano ancora notizie sul numero delle vittime e dei feriti. Qualcuno aveva parlato di un elicottero, altri di un piccolo aereo da turismo, ma probabilmente si trattava di un grande bimotore, lo confermavano molti testimoni… E poi, qualche minuto prima, mentre si cercava ancora di capire che cosa fosse successo, mentre tutti guardavano le immagini trasmesse alla televisione e la gente, che si era raccolta per strada, fissava la torre nord che andava in fiamme, a quel punto era successo qualcosa di inimmaginabile. Un secondo aereo si era diretto a tutta velocità contro l’altra torre. Tutti avevano visto l’enorme esplosione, la fiammata che tagliava in due l’edificio, il fumo nero che saliva in cielo. La giornalista faticava a pronunciare le parole, le tremava la voce. Continuava a ripetere delle fiamme, del fumo nero, densissimo che si alzava dalle torri, come se cercasse di convincersi di quello che era realmente successo. Gli americani stavano seguendo la diretta sulla cnn, ma le informazioni erano poche. Era una cosa incredibile, gridava, era chiaro che non poteva trattarsi di un incidente. Stava per mettersi a piangere. Gli aerei si erano diretti volutamente contro le torri gemelle. Quello a cui stavano assistendo era un attacco terroristico mai visto prima…
La signora alla cassa ascoltava pietrificata e ansimava, sbuffava, forse aveva una crisi d’asma. Io non mi ricordo altro, so solo che mentre ascoltavo continuavo a spolverare, e che mi sembrava assurdo. Quelli che entravano in negozio e sentivano la radio non ci facevano caso, forse pensavano a qualche romanzo radiofonico, pagavano e uscivano.
Verso sera, i Gibigiana avevano liquidato la faccenda con una battuta cretina delle loro, poi si erano messi a controllare i conti della giornata.

1.11.10

Vita da redattore_10

L’editor non ha ancora chiarito come intende risolvere la questione “all’interno della redazione”. (Parlo del lavoro piantato a metà dal giovane studioso di storia dell’arte sparito nel nulla.) Un’equa spartizione del compito tra tutti sarebbe la cosa migliore, ma in casi come questi i redattori assunti sono esclusi in partenza: primo perché non hanno nessun obbligo di accollarsi una fatica extra, secondo perché non sono mica scemi. Al massimo lui chiederà l’aiuto dei collaboratori, gli unici che potrebbero accettare senza fare una piega. Chi ha un contratto a progetto, infatti, ci pensa sempre due volte prima di rifiutare un lavoro, anche ingrato o sottopagato, perché ha paura che, dicendo un no, in futuro non gli offriranno nemmeno quello.
L’editor potrebbe anche chiedere a me di occuparmi del lavoro, visto che sto seguendo il manuale. In fondo si tratta di scrivere una serie di schede biografiche (noi le chiamiamo box) dedicate ai grandi artisti e ai capolavori dell’arte, dall’ottocento fino a oggi. Lo potrebbe fare qualunque redattore dotato di tempo e di buona volontà. Ma lui non mi ritiene all’altezza. Tanto meglio, comunque: primo perché non ho tempo, secondo perché la buona volontà l’ho esaurita da un pezzo.
Nella riunione convocata in fretta per trovare una soluzione alla crisi, l’editor ha spiegato la situazione a tutti noi, schierati a semicerchio intorno alla sua scrivania come succede sempre nei momenti drammatici. Non lasciava intuire dove sarebbe andato a parare. Forse stava per fare l’impensabile, forse voleva spartire il lavoro fra tutti i redattori. Ma non saprò mai che cosa avesse realmente escogitato, perché proprio un attimo prima che iniziasse a parlare, la stagista si è messa a cinguettare che, se per lui andava bene, ci avrebbe provato lei a scrivere i box mancanti.
Non ho mai provato un briciolo di simpatia per Gladia, eppure devo ammettere che in quel momento, per un secondo, ho pensato che qualcuno di noi doveva dire qualcosa, fermarla subito, prima che fosse troppo tardi. Perché la poveretta, accecata dall’ambizione, non sapeva a cosa andava incontro. Era abbastanza inesperta da credere che questo lavoro le avrebbe aperto chissà quali prospettive nel mondo editoriale. Non capiva che si sarebbe risolto in una gigantesca rottura di palle. Ma non ho mosso un dito, non ho parlato. E così gli altri. In fondo, mi sono detto, l’esperienza le servirà per il futuro.
Le parole di Gladia sono state accolte dal silenzio compatto della redazione, seguito da un senso di sollievo, un calo di tensione generale. Qualcuno, ho notato, ha fatto per ritornare al proprio computer, sgravato di tutto, incredulo. Il problema era già risolto. Io intanto pensavo che forse, qualche anno fa, avrei fatto come Gladia e mi sarei offerto spontaneamente, perché ero ancora convinto che valesse la pena di mettersi in mostra, perché pensavo che uno sforzo del genere potesse servire. Ma a cosa? Ero forse pieno d’ambizione come lei? O forse l’ambizione non c’entra, forse la ragazza ha solo voglia di dimostrare che lei vale qualcosa, che non starà immobile, come noi, senza fiatare. Non lo so. So solo che l’idea di offrirmi volontario, questa volta, non mi ha nemmeno sfiorato.
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