22.5.11

Foto di famiglia_12

L’oggettistica sacra in vendita alla Libreria Tau consisteva in statuine del presepe, statue della Madonna di ogni tipo, di Lourdes e di Loreto, bianche e nere, provviste di Bambino e senza, e poi bassorilievi e statue in gesso di ogni misura raffiguranti i santi più famosi: san Francesco, sant’Antonio, santa Rita. Ma anche qualche santo di nicchia come Teresa di Lisieux. Poi c’erano centinaia di oggetti per il culto, calici, turiboli, croci. Incensi, rosari ad anello e a collana. Angeli di tutte le fogge (che da soli riempivano intere vetrine) e in ogni materiale esistente, dalla ceramica alla plastica fosforescente antiurto (sempre in voga nel campo della paccottiglia religiosa), fino al legno intagliato a mano, sembra, da artigiani di qualche valle alpina (o più probabilmente in Cina). E poi dischi e spartiti di musica classica o religiosa, videocassette più meno d’essai e poster naif di santi e delle solite madonne, di Gesù oleografici e di radiosi papi benedicenti. Soprattutto, però, la libreria vendeva centinaia, migliaia di santini.
Una volta finito di ripulire la pregiata oggettistica sacra (sacra come le magliette e le bandierine che vendono davanti agli stadi), i Gibigiana, proprio come aveva detto la ragazza dell’agenzia, mi avevano affidato un compito diverso. Dovevo riordinare proprio gli espositori dei santini, che occupavano una stanza intera separata dal resto del negozio. Ho capito subito perché quella roba aveva uno spazio apposta, perché erano meta di un flusso continuo di gente, soprattutto giovani e religiosi, che non ne compravano solo uno o un paio, ma decine. Ne mettevano insieme mazzi interi. Ne riempivano buste, borse, scatole. Passavano in rassegna gli espositori che ricoprivano le pareti del locale e li sceglievano come si scelgono le cartoline o le figurine. E quando, dopo minuziosa osservazione, decidevano di non comprarli o di sceglierne altri, non rimettevano i santini al loro posto. Se ne fregavano dell’ordine alfabetico che regolava la stanza. Di solito li ributtavano sopra gli altri, alla rovescia, oppure li appoggiavano a casaccio dove capitava. E il mio compito era proprio quello di tenere in ordine i raccoglitori, di individuare i santi fuori posto e rabboccare le caselle più saccheggiate.
Ovviamente era un lavoro del tutto inutile perché l’ordine che riuscivo a riportare durava pochi minuti. Ma per lo meno in quella stanzetta potevo stare lontano dai due Gibigiana. Li sentivo ridere continuamente con i loro affezionati clienti, ma almeno non li vedevo, ed era già qualcosa.
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