24.1.10

Vita da redattore_6

L’editor mi ha rifilato uno dei suoi lavoretti rognosi. Li presenta sempre come cose da niente, e poi regolarmente si rivelano lunghi e snervanti, e di solito non servono a niente. Questa volta devo fargli avere un elenco completo di tutti gli interventi di censura (parole sue) necessari per un romanzo che lui vorrebbe ripubblicare l’anno prossimo con il marchio Giacobino scuola. L’elenco lo vuole per lunedì, quindi significa che mi toccherà lavorare nel finesettimana. Il libro si intitola Il cane zoppo di Tom e racconta le disavventure di un ragazzino un po’ autistico, obeso, dalla sessualità incerta, senza amici, che ha subito in tenera età le attenzioni di un vicino di casa e da adolescente i maltrattamenti dell’ultimo genitore rimastogli, il padre, un operaio navale disoccupato e alcolista che quando (raramente) non è ubriaco sfoga come può la propria frustrazione sul figlio. Ma Brian non perde mai il suo ottimismo e, in compagnia del suo cane a tre zampe (sopravvissuto ai combattimenti clandestini), riesce a spremere una morale costruttiva (di solito una per capitolo) da ogni episodio catastrofico che gli capita. (Questo, scoprirò, fino al penultimo capitolo, quando il cane viene travolto sui binari della metropolitana).
Il romanzo è stato un bestseller nei paesi anglosassoni – se devo credere alle parole dell’editor e alla fascetta rossa che avvolge l’edizione rilegata – e in Italia ha venduto qualcosa in più della media, ma niente di eccezionale. Io non l’ho mai sentito nominare. E mi chiedo perché lui abbia deciso di inserirlo nella nostra collana di narrativa per ragazzi. Non che ci stia male, visto che è composta in gran parte di letteratura drammatica, racconti di casi umani, lettere da campi di sterminio, memorie dal carcere, diari di giovani ex tossicomani, ex criminali, ex anoressiche ecc. (per esempio il Diario di una migrante, il lacrimevole Il banco vuoto o il nostro longseller di sempre, Filastrocche da Auschwitz). Il problema, piuttosto, è che questo libro non è solo deprimente come gli altri, ma è anche infarcito di parolacce, violenze, scene di sesso e un paio di bestemmie. Roba non proprio adatta a dei ragazzi, insomma, e che noi siamo chiamati a emendare se non vogliamo beccarci un’altra denuncia dal Movimento dei Genitori Attenti. Ma se eliminiamo parolacce e porcherie varie il romanzo perderà la metà delle pagine – provo a spiegare all’editor, anche per fargli intuire che forse, dopo sei anni da fantasma alla Giacobino, inizio a capire qualcosa di editoria – e lui ha risposto che sì, certo, ovviamente ci aveva pensato, ma al momento gli serviva assolutamente un titolo da far uscire l’anno prossimo, e questo era l’unico disponibile. Poi ha detto che i libri lacrimevoli piacciono sempre alle insegnanti, e questo, «con un titolo del genere e quel cane pulcioso in copertina, lo venderemo come il pane».

17.1.10

La stagista_12

Arriva l’editor, il mio capo*, che mi dà una delle sue pesanti pacche sulle spalle e rivolge a Gladia un saluto un po’ troppo cerimonioso. Pensavo che il suo arrivo mi avrebbe salvato dalla noia vischiosa in cui mi dibattevo, ma dopo i soliti convenevoli le cose sono andate anche peggio. Volevo presentargli Gladia, ma lui ha tagliato corto dicendo che loro si conoscevano già. Avevano chiacchierato un paio di volte, sembra. Me la immagino, Gladia, che capita casualmente nell’ufficio dell’editor e gli si presenta, gli offre i suoi servigi e cerca di ingraziarselo… Forse non esagero, visto che lui le sta domandando: «si ricorda di procurarmi quei materiali di cui mi parlava l’altro giorno, quegli opuscoli sulle prove di selezione per il master di Eco?» E poi, voltandosi verso di me, giusto per farmi capire qualcosa, mi spiega che siccome deve tenere un lezione sull’editoria in un corso postuniversitario ha chiesto a Gladia qualche informazione su questo master. Che è il migliore in Italia, precisa. Se non fossi diventato insensibile alle infinite trovate di cui è capace l’editor, adesso sarei già in preda allo sconcerto. La stagista è raggiante, i suoi occhi lanciano lampi di soddisfazione, come due lampadine. Lui la guarda come se pendesse dalle sue labbra – ma in fondo è la faccia standard che assume davanti a ogni donna –, le chiede in cosa consistevano i test di ammissione al corso, e lei, che ovviamente non vedeva l’ora di poter sciorinare le tappe della sua via crucis formativa, inizia a spiegargli tutto nei minimi dettagli. (continua...)



* In realtà, il mio Contratto di lavoro a progetto specifica, al punto 5, che «è escluso qualsiasi vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare...». Ma le cose, diciamo, non stanno propriamente così.

4.1.10

La stagista_11

Ho capito l’unica cosa che c’era da capire: Gladia è di una noia indescrivibile. A conti fatti aveva sì e no un paio di cose da dirmi, e nessuna delle due mi interessava minimamente. Adesso ho la certezza che io e lei non abbiamo niente in comune e, soprattutto, che c’è ben poco da conoscere oltre alla sua brillante carriera scolastica. Perché la ragazza non ha spessore, sembra piatta, sottile, come la carta su cui è scritto il suo curriculum. Lo penso mentre fingo di ascoltare l’insignificante aneddoto su Umberto Eco che mi sta raccontando nei minimi dettagli, con notazioni tipo «sapessi quanto è intelligente, ironico, e colto!»... Ma va? Chi l’avrebbe detto? Se solo potessi versarle addosso la dannata bevanda bollente e andarmene. Invece mi mordo la lingua e mi sforzo di soffocare sul nascere l’ennesimo sbadiglio.
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