15.5.10

La stagista_18

Appena Gladia è arrivata tra noi ho pensato di spiegarle un paio di cose che mi sembravano utili. E non solo perché sono il suo tutor. Lo avrei fatto con qualsiasi stagista al primo giorno di lavoro, per farla sentire meno spaesata. È vero che Gladia ha già fatto un mese da Studia & Labora, ma per me resta comunque una principiante. E questo, ho capito, le dà molto fastidio. Non le piace essere trattata per quello che è: una stagista. L’ho intuito da come mi guardava mentre le parlavo. Nel suo sguardo non c’era traccia di simpatia. (Solo l’editor, del resto, riesce a strapparle sorrisi cinematografici.) Non si sforzava di nascondere che la stavo scocciando, e ha sopportato i miei consigli noiosi (durati cinque minuti) solo per dimostrare che lei è una ragazza educata, mica per altro.
O il famoso master di Bologna l’aveva formata anche nella pratica, pensavo, oppure le redattrici di S&L le avevano insegnato davvero tutto sul lavoro editoriale. Mi sembrava impossibile.
Secondo me, Gladia non ascoltava perché non gliene frega niente di fare la redattrice. Tutto qui.
Ho avuto una conferma alla mia ipotesi oggi, quando le ho chiesto come si trova nella nuova redazione, e poile ho detto di non preoccuparsi, che presto farà pratica con il lavoro. Non so neanche perché l’ho detto. Forse mi sentivo la coscienza sporca, visto che da quando è arrivata ho evitato ogni contatto di troppo con lei. Comunque Gladia ha ricambiato il mio interessamento, una volta tanto sincero, con un sorriso inequivocabile, che tradotto in parole significava più o meno: “sei proprio scemo, credi davvero che mi importi qualcosa del vostro stupido lavoro?”.
E come se questo primo episodio non bastasse, qualche ora più tardi ho cercato nuovamente di aiutarla. Ma perché? Le stavo mostrando come accedere alla sua cartella personale nel server della Giacobino (strano che le simpaticone di Studia & Labora non glielo avessero mai spiegato), e Gladia, invece di ascoltarmi, o almeno di fingere di farlo, si è messa tranquillamente a leggere un messaggio arrivato sul suo cellulare. Credeva che non vedessi il telefonino illuminato che teneva in mezzo alle gambe? Le ho domandato, con una punta di sarcasmo, se aveva capito tutto. Ero stato abbastanza chiaro o dovevo spiegarmi meglio? Lei sorrideva, faceva di sì con la testa, e intanto continuava a darsi da fare con i tasti. E io ho recitato una parte che mi viene sempre bene, quella del tonto che non si accorge di niente, nemmeno di una stagista che lo sta prendendo per il culo.
(La ragazza non poteva immaginare quanto mi fosse costato parlarle, mettere da parte i miei pregiudizi, ignorare il fastidio primordiale che risvegliava in me la semplice vista del suo faccino, il suono della sua voce stridula e petulante. Ma non ero deluso, anzi, ero felice di non essermi sbagliato a giudicarla male la prima volta che ci siamo parlati. Perché Gladia si stava rivelando anche peggiore del previsto.)
Quello che dicevo la faceva ridere? Bene, allora avrebbe avuto la mia indifferenza. Non l’avrei più aiutata, nemmeno se mi fossi accorto che stava per commettere la minchiata del secolo. E non vedevo l’ora che quel giorno arrivasse. Prima o poi – pensavo tornando al mio posto, lasciandola a trafficare con quel telefonino del cazzo – prima o poi arriverà l’occasione di aiutarla, e io non farò assolutamente niente per lei.
Me ne starò lieto a guardarla precipitare, senza tenderle non dico una mano ma nemmeno il dito mignolo. Al massimo mi sporgerò nel vuoto, per godermi meglio il momento dell’impatto. Perché io sono gentile, ma anche permaloso, e la minima mancanza di rispetto o, come in questo caso, la completa ignoranza delle più elementari buone maniere, riescono a farmi davvero inferocire.

7.5.10

Che cosa fa un redattore_3

Finalmente apro Il cane zoppo di Tom, leggo la prima pagina e mi ritrovo nel mezzo di un tipico dramma autistico. Tom, il protagonista, è in preda a una crisi di nervi perché nel suo piatto ci sono piselli, che per prima cosa sono verdi, e lui non può mangiare niente che sia verde, marrone o rosso, e soprattutto sono dispari, lo ha notato alla prima occhiata, e lui non può mangiare niente che non sia in numero pari. Ma cosa vuoi che ne sappia il padre, che è ubriaco dalla mattina alla sera. È già tanto che sia riuscito a aprire la scatola e a scodellargli i piselli, col tremito da delirium tremens che si ritrova. E poi i piselli sono l’unica cosa commestibile che ha in casa, oltre alle bottiglie di birra. Certo, la mamma di Tom non avrebbe mai fatto un errore del genere. Peccato che sia morta per dare alla luce il bambino.
Andiamo bene, penso, e sfoglio velocemente le pagine che seguono, sperando che almeno questo strazio di incipit finisca alla svelta. Ma vedo che la fine del capitolo è ancora lontana, e che a pagina 13 si parla ancora di piselli. Pazienza. Prendo la matita e sottolineo il che cazzo fai! che campeggia in alto a pagina 5.
Di solito parole come cazzo o stronzo, con tutti i loro derivati, sopravvivono alla nostra censura, perché ormai, come ripete sempre l’editor, sono completamente desemantizzate. In questo caso però è stato lui a raccomandarmi di toglierle o sostituirle il più possibile, perché ce ne sono troppe. E infatti ecco un altro cazzo a fine pagina, ma qui è facile, si elimina senza fatica e il senso della frase non cambia di una virgola. Una volta sottolineate tutte le parole proibite dovrò mettermi al computer e farne un bell’elenco. Non oso pensare a quante ore ci vorranno per finire questo lavoretto.
Mentre mando mentalmente l’editor a farsi fottere ecco che a pagina 9, riga 3, avvisto un eloquente quella troia di tua madre! Lo grida il padre di Tom al povero bambino, che non ha ancora osato sfiorare il mucchietto di piselli dispari, ormai freddi, ammonticchiati in mezzo al piatto. E io penso a come sostituire troia con parolacce più blande, mi sforzo, ma non mi viene in mente niente di decente. Sgualdrina? No, non lo dice nessuno, di certo non un operaio navale alcolizzato. Puttana andrebbe meglio, ma ovviamente non è adatto ai nostri giovani lettori*. Forse si può dire quella pazza, anzi no, quella scema di tua madre. Vada per scema, anche perché ho già perso troppo tempo su questa frase. E un’altra pagina è andata, una in meno.
Una cosa è sicura, sono solo a pagina 10 e il piccolo Tom mi sta già sul culo.

*Gli stessi giovani lettori che magari si scattano foto porno per venderle in internet in cambio di una ricarica del telefono, o che semplicemente dicono parole molto più pesanti di puttana fin dalle elementari. Ma questo impone lo stupido perbenismo della scuola e dei professori, e noi alla Giacobino li accontentiamo sempre.
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