27.7.10

Che cosa fa un redattore_4

Va bene il disagio psichico di Tom, ma ritrovarselo in ogni pagina del romanzo è davvero troppo. Ovviamente l’autore si è scelto un protagonista del genere solo per mostrare quanto è bravo a scrivere i pensieri di un bambino autistico. Di sicuro è uno psichiatra o qualcosa di simile. Cerco la sua biografia nel risvolto, ma qui, oltre a vedere che è bello e abbronzato quanto basta per non sfigurare davanti al blu smaltato del cielo di Malibu, dove vive e lavora, non trovo altro. Si dice che questo è il suo primo romanzo, che in America ha venduto milioni di copie e che lui, l’autore-fotomodello, ha già ricevuto un anticipo a sei zeri per cedere i diritti cinematografici dell’opera, forse a Spielberg. Sono sempre così dettagliate queste note biografiche, come se il numero di copie vendute e la cifra sborsata da Hollywood fossero la prova che il romanzo è un capolavoro.
Riprendo la lettura, mi fermo dopo due righe. Mi domando: ma è possibile che i romanzi di successo degli ultimi anni pullulino di bambini e/o ragazzi psicotici, traumatizzati, abusati, disadattati, incazzati eccetera? Quando va bene i protagonisti sono fameliche Lolite del Sud del mondo, giovani cocainomani tutti strada e camorra, oppure orfani dell’undici settembre dal quoziente intellettivo doppio rispetto alla media. Gli scrittori insomma non hanno mai sentito parlare dei bambini normali, quelli magari un po’ tonti, svogliati, che non riescono nemmeno a fare i compiti da soli. E poi, tra i tanti disturbi psichici, l’autismo mi sembra proprio uno dei più noiosi. Ma vuoi mettere la libertà, per l’autore-psichiatra-fotomodello, di infarcire pagine su pagine di ossessioni, manie e rognosità varie?
Le donne adorano leggere di bambini maltrattati, esattamente quanto gli uomini amano la pornografia*.
Il giovane Tom, per esempio, non saluta, non ride e non sorride mai, perché non può capire l’umorismo, non chiede scusa e non ringrazia, perché non conosce la gentilezza, non tocca mai nessuno e soprattutto non vuole essere toccato dagli altri (questo però me lo rende simpatico). In compenso urla o scoppia in lacrime per decine di motivi imperscrutabili. Insomma, è un catalogo vivente di fisime che farebbero perdere la pazienza a un santo. Figuriamoci a me, che non sopporto neanche i bambini normali. Confesso che a pagina 108 ho sperato che il padre, in un accesso di rabbia, lo abbandonasse nel parcheggio del discount dove lo aveva trascinato a fare il rifornimento settimanale di birra. Tom strepitava perché le scatole di birra ammassate sul pick-up erano dispari. Come i piselli dell’incipit. Mi aspettavo che il padre lo prendesse a schiaffi, a calci, e invece no, niente del genere, non se l’è presa col piccolo. Forse perché, visto che la birra era finita, non era sbronzo come al solito. Non si è messo a gridare, non lo ha nemmeno insultato. Con una calma innaturale lo ha lasciato lì, in compagnia del suo cane rognoso, a fissare il furgone, e se ne è andato. Questa volta lo abbandona, pensavo, questa volta si è reso conto che lui non riuscirà mai a capirlo un figlio così, perché lui non è come sua madre. Nel parcheggio c’erano anziani e famiglie che lo avrebbero trovato e aiutato, non era in pericolo... Ma nella pagina seguente il padre ha fatto ritorno. Era andato a comprare un’altra scatola da dodici birre che ha piazzato sul pick-up. Tom ha istantaneamente aggiornato i conti e si è sbloccato, come una serratura elettronica. Ha fatto una smorfia che forse poteva essere un sorriso. È saltato su insieme al suo cane e si è seduto vicino al padre. Sono ripartiti, in silenzio, verso casa. Visti così, illuminati dall’abbagliante neon blu del discount, quei tre sembravano quasi una famiglia normale.

* Questa è la terza legge dell’editoria.
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