18.9.09

Vita da redattore_1

Quando dico che faccio il redattore in una casa editrice* tutti mi guardano con una faccia strana. Il più delle volte esclamano «ah, interessante!», e sgranano gli occhi, meravigliati. Ma si vede benissimo che non hanno capito niente. Qualcuno, dopo un minuto di silenzio, chiede: «l’arredatore?», perché pensa di aver sentito male. Altri invece azzardano: «il giornalista?». Allora io preciso: «no, il redattore», come se ripetere servisse a qualcosa. E poi, giusto perché mi rendo conto che la parola redattore può generare qualche confusione, inizio a spiegare per la centesima volta in cosa consiste il mio lavoro, dico che in pratica io faccio i libri, cioè leggo i testi, li correggo, li modifico, li seguo fino alla pubblicazione, e porto anche qualche esempio per chiarire meglio la faccenda. Ma posso stare sicuro che tanto, alla fine del mio discorso, loro saranno confusi esattamente come prima. Di solito, infatti, dopo avermi lasciato parlare per dieci minuti buoni mi chiedono, un po’ stizziti: «ma quindi che cosa fai esattamente? Cosa vuol dire che fai i libri? Non li scrivono gli scrittori, i libri? A cosa servi tu?…». (E vi assicuro che non è una bella domanda da sentirsi fare.) Mentre i casi disperati, quelli che non hanno capito niente fin dall’inizio, non si trattengono più: «Vedi che è come dicevo io? Fai il giornalista!». E a quel punto io sono così sfinito che glielo lascio credere.

*Il mio Contratto di lavoro a progetto specifica, al punto 7, che «il collaboratore è tenuto a esternare nelle relazioni, anche con soggetti terzi, la sua condizione di collaboratore a progetto [cioè temporaneo] e quindi la carenza di ogni potere di rappresentanza della società committente». Approfitto di questa nota per esternare una volta per tutte la mia condizione e non ci penso più.

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