1.11.10

Vita da redattore_10

L’editor non ha ancora chiarito come intende risolvere la questione “all’interno della redazione”. (Parlo del lavoro piantato a metà dal giovane studioso di storia dell’arte sparito nel nulla.) Un’equa spartizione del compito tra tutti sarebbe la cosa migliore, ma in casi come questi i redattori assunti sono esclusi in partenza: primo perché non hanno nessun obbligo di accollarsi una fatica extra, secondo perché non sono mica scemi. Al massimo lui chiederà l’aiuto dei collaboratori, gli unici che potrebbero accettare senza fare una piega. Chi ha un contratto a progetto, infatti, ci pensa sempre due volte prima di rifiutare un lavoro, anche ingrato o sottopagato, perché ha paura che, dicendo un no, in futuro non gli offriranno nemmeno quello.
L’editor potrebbe anche chiedere a me di occuparmi del lavoro, visto che sto seguendo il manuale. In fondo si tratta di scrivere una serie di schede biografiche (noi le chiamiamo box) dedicate ai grandi artisti e ai capolavori dell’arte, dall’ottocento fino a oggi. Lo potrebbe fare qualunque redattore dotato di tempo e di buona volontà. Ma lui non mi ritiene all’altezza. Tanto meglio, comunque: primo perché non ho tempo, secondo perché la buona volontà l’ho esaurita da un pezzo.
Nella riunione convocata in fretta per trovare una soluzione alla crisi, l’editor ha spiegato la situazione a tutti noi, schierati a semicerchio intorno alla sua scrivania come succede sempre nei momenti drammatici. Non lasciava intuire dove sarebbe andato a parare. Forse stava per fare l’impensabile, forse voleva spartire il lavoro fra tutti i redattori. Ma non saprò mai che cosa avesse realmente escogitato, perché proprio un attimo prima che iniziasse a parlare, la stagista si è messa a cinguettare che, se per lui andava bene, ci avrebbe provato lei a scrivere i box mancanti.
Non ho mai provato un briciolo di simpatia per Gladia, eppure devo ammettere che in quel momento, per un secondo, ho pensato che qualcuno di noi doveva dire qualcosa, fermarla subito, prima che fosse troppo tardi. Perché la poveretta, accecata dall’ambizione, non sapeva a cosa andava incontro. Era abbastanza inesperta da credere che questo lavoro le avrebbe aperto chissà quali prospettive nel mondo editoriale. Non capiva che si sarebbe risolto in una gigantesca rottura di palle. Ma non ho mosso un dito, non ho parlato. E così gli altri. In fondo, mi sono detto, l’esperienza le servirà per il futuro.
Le parole di Gladia sono state accolte dal silenzio compatto della redazione, seguito da un senso di sollievo, un calo di tensione generale. Qualcuno, ho notato, ha fatto per ritornare al proprio computer, sgravato di tutto, incredulo. Il problema era già risolto. Io intanto pensavo che forse, qualche anno fa, avrei fatto come Gladia e mi sarei offerto spontaneamente, perché ero ancora convinto che valesse la pena di mettersi in mostra, perché pensavo che uno sforzo del genere potesse servire. Ma a cosa? Ero forse pieno d’ambizione come lei? O forse l’ambizione non c’entra, forse la ragazza ha solo voglia di dimostrare che lei vale qualcosa, che non starà immobile, come noi, senza fiatare. Non lo so. So solo che l’idea di offrirmi volontario, questa volta, non mi ha nemmeno sfiorato.

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