9.10.10

Foto di famiglia_7

La mattina del mio primo giorno in libreria l’ho trascorsa in cima a una scaletta a spostare madonnine di gesso di tutte le dimensioni. Oltre a spostarle, avevo il compito di spolverare i ripiani più alti degli scaffali. E a giudicare dallo strato di polvere che li copriva, ero il primo a farlo da quando il negozio aveva aperto i battenti. Evidentemente era per questo che cercavano un laureato in materie umanistiche.
Lì in alto, comunque, non era poi così male, potevo anche guardare fuori dalle finestre affacciate sull’impressionante abside del duomo.
Ogni tanto i Gibigiana mi chiamavano (scusa, mi ricordi il tuo nome?) e mi davano istruzioni tipo: «le Madonne di Lourdes vanno in prima fila, in ordine di altezza, poi, subito dietro, devi mettere quelle di Loreto, sempre in ordine di altezza, mi raccomando!». Io eseguivo, macchinalmente, e rimettevo tutto esattamente come era da sempre. Mi prendevo solo la libertà di vedere a che cifre vendevano quella roba. L’unica cosa più assurda del loro prezzo era l’idea di poterne comprare una.
Spostavo una madonna, rimuovevo la polvere dalla mensola (uno strato compatto e gommoso come moquette) e riposizionavo la statua. Poi davo un’occhiata dalla finestra e invidiavo la gente che passeggiava senza far niente là sotto, nell’azzurro cristallino di quell’avanzo d’estate.
Una cosa era certa: lavoravo alla Libreria Tau da poco più di due ore e avevo già deciso di scappare.
Nei tre minuti di pausa che mi erano stati gentilmente concessi dal Gibigiana maschio, mi ero rinchiuso nel bagno dello sgabuzzino per elaborare un piano d’azione. Un piano molto semplice: avrei aspettato fino alla pausa pranzo, quindi sarei uscito per mangiare qualcosa e non avrei più fatto ritorno. Non proprio un comportamento corretto, va bene, ma ogni volta che sentivo le imprecazioni dei Gibigiana (Oh porcapastiglia!), seguite dalle loro risate sincroniche, mi venivano i brividi. Guardavo gli stolidi volti “dipinti a mano” delle madonne per trovare approvazione, e mi dicevo che chiunque, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso.
Ovviamente, durante l’ora successiva - passata a ripulire le mensole con le statue di san Francesco - ho continuato a perfezionare il mio piano. Alla fine ho trovato una soluzione migliore: mi sarei dato un paio di giorni di tempo, e se le cose non fossero cambiate avrei chiamato la ragazza dell’agenzia per dirle che quel lavoro non faceva proprio per me. In fondo avevo tutto il diritto di farlo, ero ancora nel mio periodo di prova, o no?

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