10.9.10

Foto di famiglia_5

I gemelli mi fissano subdoli dall’angolo dello specchio dove ho infilato la foto. L’ho messa lì per evitare di perderla un’altra volta, ma dovrei nasconderla in qualche altro posto più sicuro, anche perché, attaccata in quel modo, la foto mi sembra un santino. E a me i santini non piacciono per niente. Anzi li odio. Il motivo è presto detto, perché mi ricordano la mia prima esperienza di lavoro. Uno dei ricordi peggiori della mia vita.
Su un giornale avevo trovato un annuncio che diceva testualmente: “agenzia di lavoro temporaneo ricerca un addetto alle vendite laureato in materie umanistiche per un’importante libreria”. Io mi ero laureato da un paio di mesi in lettere moderne, mi piacevano le librerie e soprattutto i libri: quell’annuncio sembrava scritto per me. Quindi avevo mandato il mio curriculum via fax all’agenzia. Un paio d’ore più tardi mi avevano telefonato per fissare un colloquio. La loro velocità mi faceva sperare bene, era un altro segno che quel lavoro mi aspettava.
Il giorno successivo ero andato negli uffici dell’agenzia, dove avevo parlato con una ragazza simpatica che dopo una serie di domande sulle mie esperienze precedenti (lavori saltuari che avevo fatto per pagarmi l’università), fissando il mio magro curriculum, aveva voluto chiarire una cosa: stavano facendo quella selezione su incarico di una libreria religiosa.
Per me era un problema?
Avevo immediatamente risposto di no. Ma non era vero. Fin da bambino non mi era mai importato niente della religione, l’avevo sempre considerata con sospetto, diffidenza, per non dire di peggio. E a dirla tutta, per me una libreria religiosa non era nemmeno una vera libreria. Ma ovviamente ero stato zitto, sperando che la ragazza si bevesse la mia risposta. Intanto mi dicevo che avrei avuto comunque a che fare con dei libri, in gran parte religiosi, va bene, ma pur sempre libri.
E poi avevo risposto all’annuncio perché avevo bisogno di un lavoro, quindi non mi sembrava il caso di sottilizzare.
Non solo la ragazza aveva creduto alla mia risposta ma diceva che ero PERFETTO per quel posto. (Ma che razza di impressione avevo fatto?) Poi aveva specificato che non si trattava di una libreria religiosa qualsiasi - adesso poteva rivelarlo - ma della Libreria Tau, la più importante della città. (E lo aveva detto abbassando la voce, come se mi stesse confidando un segreto pericoloso.)
La conoscevo?
Sì, di vista.
E per convincermi che una libreria religiosa era una libreria come le altre, e che in fondo stavo facendo la scelta giusta, mi ripetevo che comunque si trattava solo di un lavoro temporaneo. Sei mesi, poi avrei cambiato aria.
Ma prima la ragazza doveva chiarire un altro dettaglio (ancora?): per i primi mesi, in pratica, non avrei lavorato nella libreria vera e propria ma in un distaccamento del negozio, distante pochi metri, specializzato in oggettistica sacra.
Per me era un problema?
No, certo che no, niente affatto.
Inutile dire che quel lavoro mi attirava sempre meno.
Comunque non si era capito, anzi, dovevo essere sembrato proprio convincente, perché il giorno dopo la ragazza mi aveva telefonato confermandomi che il posto era mio, se per me andava bene.
Ovvio che mi andava bene.
Diceva di presentarmi alla Libreria Tau martedì alle 9 in punto. Per sicurezza avevo evidenziato la data sul calendario: martedì 11 settembre 2001.

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