28.4.11

Vita da redattore_15

Il giorno della riunione, gli Autori del manuale di storia dell’arte erano attesi con il nervosismo dei grandi eventi. L’editor era in redazione dall’alba e continuava a rovistare senza senso fra i contratti in archivio. Mi ha telefonato almeno quattro volte, agitatissimo, per chiedermi di aiutarlo a cercare dei documenti che sembravano spariti e che invece aveva già sulla scrivania. Doveva discutere con gli Autori di come ripartire le royalties della nuova edizione del libro. Una delicatissima operazione di diplomazia editoriale.
Alle tre in punto, quando dalla reception ci hanno avvisato che erano arrivati e stavano salendo in ascensore, l’editor ha spedito me a accoglierli, mentre tentava di trovare le carte che gli servivano nel marasma del suo ufficio.
Stavo pensando a come presentarmi, quando le porte dell’ascensore si sono aperte e i tre illustri professori hanno fatto la loro comparsa. Era la prima volta che li vedevo in carne e ossa. Tutti troppo magri, troppo alti, un po’ ricurvi, raggrinziti. Potevano essere fratelli, perché si spartivano equamente la stessa bruttezza. Non erano vecchi, piuttosto avevano un’età indefinibile, come certi animali. Parlavano fitto tra loro e hanno ricambiato il mio saluto con una mezza smorfia collettiva. Poi mi sono venuti incontro senza smettere di chiacchierare. Io gli facevo strada, aprivo le porte e li pregavo di avere solo qualche minuto di pazienza perché l’editor, impegnato in una telefonata, sarebbe arrivato subito. Loro strisciavano piano, indolenti, senza mostrare il minimo interesse per me. Io invece li osservavo e provavo ad abbinare i tre famosi nomi, sentiti ripetere tante volte, a quei mostri. Il più anziano, intuivo, doveva essere anche il più importante tra loro.
Per fortuna l’editor ci ha raggiunti davvero pochi minuti dopo, perché io non sapevo più cosa inventarmi. Li ha salutati e poi si è praticamente genuflesso, in segno di sottomissione. Si sarebbe fatto camminare sulla schiena per metterli a loro agio. Lui è così bravo a gratificare l’ego degli Autori.
Esauriti i soliti inutili convenevoli per sapere come stavano, se il loro treno era arrivato in orario, se avevano viaggiato bene, se avevano trovato subito un taxi eccetera, l’editor ha iniziato a ridere a ogni freddura che usciva dalle loro bocche. Se fingeva, lo faceva molto bene. Il più anziano, a un certo punto, si è messo a sfottere un venditore ambulante che alla stazione aveva osato proporgli l’acquisto di un ombrellino - venditore che a lui sembrava pure un po’ ricchione (parole sue). E giù altre risate di gruppo.
Il senso dell’umorismo di certi intellettuali è una cosa davvero triste.
Ho seguito il simpatico gruppo nel corridoio mantenendomi sempre a qualche passo di distanza, come un maggiordomo, anche perché non sapevo se potevo partecipare alla riunione o dovevo andarmene. La cosa, come al solito, non era per niente chiara. Ma una volta arrivati davanti alla sala riunioni numero 2, proprio quando avevo deciso di allontanarmi, l’editor ha chiesto ai tre se gradivano bere o mangiare qualcosa, ha preso nota e poi, facendomi un cenno, ha risolto ogni mio indugio. Mi ha passato la lista con le ordinazioni e mi ha chiesto di telefonare (in fretta!) al bar di fronte. Poi si sono chiusi nella sala 2, e anche là dentro, ho sentito dal corridoio, non la smettevano di ridere.

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