30.11.09

La stagista_9

Alzo la testa dalle bozze e me la trovo davanti. Gladia è immobile vicino alla mia scrivania. «C’è Laura?» chiede guardandosi intorno, analizzando tutto quello che vede. La sua tranquillità mi stupisce: avventurarsi così, dopo appena una settimana di lavoro, anzi, di stage, in mezzo a gente che non conosce nemmeno, solo per venirci a cercare. Mi ricordo che quando lo stage lo facevo io, soprattutto i primi tempi, lasciavo il mio posto solo se dovevo parlare con l’editor o andare al bagno. E invece lei se ne sta qui, in mezzo alla nostra redazione, senza nessun imbarazzo. Anzi, fa roteare la chiave per la macchina del caffè (ne ha già una tutta sua?) e mi guarda con un sorriso malizioso. A ogni giro il suo portachiavi, un grosso fiore di plastica, scatta con un rumore secco, che nel silenzio completo dell’ambiente risuona come un’esplosione. Per un attimo mi è sembrata uno di quei personaggi da film dell’orrore, apparentemente educata e inappuntabile, che piano piano diventa sempre più invadente fino a rivelarsi per come è veramente, cioè una psicopatica sanguinaria. Che cosa vuole ancora da me? Cosa sta aspettando? Le ho detto con voce inespressiva che Laura non c’è, speravo che questo bastasse a rispedirla al suo posto. Ma lei niente, continua a fissarmi come se non avessi parlato. Come sempre, gli altri redattori restano immobili davanti ai loro computer, fingono di essere concentrati nel lavoro, e intanto non si perdono una parola del nostro dialogo. (Mi è sempre piaciuta l’impassibilità dei miei colleghi, potrei aprirmi il ventre in mezzo a loro e non volterebbero nemmeno la testa.) «E così è qui che state», dice Gladia tutta soddisfatta, come se avesse scoperto chissà cosa. Probabilmente è venuta qui solo per finire la perlustrazione completa dell’edificio, che conoscerà già a memoria. In ogni caso non voglio che si fermi un minuto di più, così prendo la mia chiavetta e la accompagno a bere il suo maledetto caffè. E intanto penso che non c’è speranza, che ormai è nata un’abitudine pericolosa. Tutta colpa degli errori strategici di Laura e del suo buon cuore. Mi immagino Gladia che arriva ogni giorno, alla solita ora, e si piazza lì a dondolare il suo grosso fiore di plastica, per invitarci a bere il caffè. Ma anche questo non sarà abbastanza, dopo vorrà pranzare con noi, verrà a chiamarci anche per la merenda e chissà cos’altro. Un incubo.

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