5.10.09

Vita da redattore_3

Non lo sa nessuno cos’è un redattore editoriale. O almeno, nessuno che conosca io. Prendiamo i miei genitori: loro non hanno mai capito veramente che lavoro faccio. Io ci ho provato a spiegarglielo e per aiutarli gli ho fatto vedere qualche bozza fitta di annotazioni, cancellature, frasi riscritte, correzioni, indicazioni per l’impaginatore. Pensavo che così si sarebbero finalmente chiariti le idee. Invece niente. Li vedevo sempre più perplessi, incerti, proprio come me, quando alle medie dicevo alla professoressa di matematica che avevo capito quello che aveva appena spiegato alla lavagna, anche se in realtà non avrei saputo ripeterne nemmeno una parola. Mamma e papà si rigiravano quei fogli tra le mani, leggevano i simboli e le mie scritte con fatica, come se provassero a decifrare una lingua morta.
L’ultima volta, però, mio padre aveva avuto una specie di illuminazione e a un certo punto aveva esclamato, deciso: «fai la correzione di bozze!». «Più o meno» gli avevo detto, semplificando fin troppo, perché correggere le bozze non è certo la stessa cosa. Ma non mi andava di spiegargli tutto da capo e di complicare inutilmente la faccenda.
Mia madre sembrava commossa.
Capivo che più di questo non avrei ottenuto e che mi dovevo accontentare. Da allora è passato qualche anno e loro non hanno più voluto chiarimenti. Ogni tanto si limitano gentilmente a chiedere «come va il lavoro?», e ogni volta io rispondo «bene, bene», senza aggiungere altro.

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