1.6.10

Foto di famiglia_4

«Non sai che dispiacere mi dai», dice mia madre ogni volta che le ricordo quanto ero brutto da adolescente. Lei proprio non si capacita, e io infierisco, le elenco dettagli come la mia semi-obesità, l’apparecchio ai denti, la faccia da scemo. Ma lei non mi ascolta, non ne vuole sentir parlare. Quando vede le foto dei suoi figli, ripete che sono TUTTE BELLISSIME e poi si commuove. Anche a me viene da piangere guardando le mie, ma per altri motivi.
Devo però ammettere che i suoi album documentano drammi fisici molto più gravi del mio. Faccio solo un esempio, quello della povera Cesira, una zia di mia madre che non solo beveva come una spugna, aveva la gotta e una grave forma di osteoporosi, ma a un certo punto della sua vita, non si è mai capito perché, si è trovata a combattere una strana lotta con la sua lingua, che si ingrossava di giorno in giorno, si allungava, si faceva sempre più spugnosa e rosea. Somigliava a quella di una mucca. Probabilmente il fenomeno era dovuto a qualche disfunzione endocrina allora sconosciuta, e il suo dottore, oltre a prescriverle qualche pastiglia, non sapeva cos’altro fare. Si poteva tentare qualche esame approfondito, suggeriva, ma non ci credeva davvero. Una cosa del genere non l’aveva mai vista. Cesira, invece, superato lo spavento aveva affrontato la faccenda con la praticità e il fatalismo dei contadini di una volta. Si era quasi abituata all’anomalia e cercava di arrangiarsi come poteva. Faticava un po’ a mangiare e a bere, quello sì, e aveva dovuto escogitare una complicata manovra per rimettere la lingua al suo posto, per non lasciarla penzolare in quel modo osceno. Ma non si lamentava. Era andata avanti così per quasi un anno. Passava le sue giornate chiusa in casa, e se proprio doveva uscire, anche solo per andare nell’orto, si fasciava la testa con uno straccio, una specie di turbante. Non voleva farsi vedere conciata così, soprattutto dalle vicine, che da quando avevano saputo della disgrazia venivano a suonare ogni giorno per sapere come stava. Una scusa per vederla e andare a raccontarlo a tutto il paese. Ma con loro ci parlava la madre che le liquidava con due parole, «sta guarendo».
Tutti i medici consultati nel corso dei mesi avevano solo aggiunto perplessità ai dubbi del primo. Le cure, neanche a dirlo, non servivano a niente. Ma poco importava, perché quando ormai tutti in famiglia ci avevano fatto l’abitudine, quando anche la zia Cesira aveva quasi smesso di pensarci, proprio allora, all’improvviso, era guarita. La Madonna aveva ascoltato le preghiere che sua madre le aveva rivolto, metodica, ostinata, chiedendo che il male sparisse. La lingua si era rimpicciolita da un giorno all’altro, come una pozzanghera al sole. Cesira era tornata quella di prima. Le comari non si erano più fatte vedere. Era guarita, certo, ma aveva iniziato a bere. Prima qualche bicchiere, tanto per tenersi su, diceva alla madre, ma da allora non aveva più smesso, non poteva più farne a meno (questo però non lo raccontava). Cesira ripeteva a tutti che stava bene. Ma nelle rare foto che la ritraggono compare sempre di sbieco, o per sbaglio, arretra nell’ombra o si nasconde in mezzo alla folla sorridente dei parenti, con lo sguardo offuscato, un bicchiere di vino in una mano e le dita dell’altra premute con forza a nascondere la distanza tra il mento e il naso.

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